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Le origini

Rodolfo Pier Filiberto Raffaello Guglielmi, in arte Rudolph Valentino, nacque a Castellaneta in via Commercio 34, (oggi via Roma 116) il 6 maggio 1895 da Giovanni Guglielmi, dottore in veterinaria ed ex capitano di cavalleria e dalla gentil donna Maria Berta Gabriella Barbin, figlia di un medico francese e dama di compagnia della marchesa Giovinazzi. I tanti nomi rivelano alcuni ingredienti di pretesa nobiltà che si mescolarono poi nel suo personaggio: derivò il cognome Valentino da un asserito casato “di Valentina d’Antonguolla” che fondeva un vecchio titolo papale con diritti di proprietà rivendicati dai Guglielmi sui terreni confiscati vicino a Martina Franca, luogo d’origine della famiglia.

Rodolfo Guglielmi visse fino a nove anni a Castellaneta, qui frequentò le prime tre classi elementari avendo come maestri Nicola D’Alagni, Francesco Miraglia - Quero; completò le scuole elementari, con mediocri risultati a Taranto dove il padre dovette trasferirsi per esercitare la sua professione.

Aveva undici anni quando morì il padre, perciò, in seguito, ebbe la possibilità di frequentare il Collegio - convitto per gli orfani sanitari italiani a Perugia. A Perugia non fu un allievo modello, anzi venne radiato per indisciplina. Tentò allora di entrare nell’Accademia di Marina a Venezia, ma fu dichiarato inabile al servizio della Regia Marina per insufficienza toracica e scarsità visiva; decise, infine, di studiare tecnica agraria e ottenne a diciassette anni il diploma di agente rurale a S. Ilario di Nervi, in provincia di Genova.

Però Valentino, spirito ribelle e cittadino del mondo, non aveva alcuna intenzione di tornare in Puglia per dedicarsi all'agricoltura (ritornerà a Castellaneta ormai attore famoso, una sola volta nel 1923). Nel 1913 volle allora andare a Parigi dove apprese l'arte del tango. Non volendo tornare indietro, «l’Italia è troppo piccola per me» disse ad Alberto, suo fratello, s’imbarcò nel dicembre 1913 sul piroscafo tedesco “Cleveland”, diretto in America per la sua grande avventura.

In America

A New York Rodolfo Valentino per vivere iniziò a fare di tutto. Incontrò il musicista tarantino Domenico Savino che gli trovò lavoro come cameriere al Maxim's Atlantic; qui divenne un taxi-dancer, finché la ballerina Bonnie Glass lo volle come partner. Si trasferì in seguito a S. Francisco, dove prese parte a uno spettacolo musicale; sciolta la compagnia divenne rappresentante di vini, con il sogno di acquistare una fattoria in cui vivere insieme alla madre, la quale invece morì nel 1918 in Francia. A San Francisco reincontrò l’attore Norman Kerry, che lo convinse ad andare ad Hollywood. La trafila nel cinema fu dura: prima fece la comparsa, l'ubriaco, il mendicante, l'apache, quindi ottenne ruoli di un certo peso, ma come antagonista e come cattivo.

Nel 1921, diretto da Rex Ingram, interpretò “I quattro cavalieri dell'Apocalisse”, dove ballava il famoso tango insieme ad Alice Terry: fu il trionfo. Con lo “Sceicco” (1921) di George Melford, fu consacrato divo e Rudy entrò nella leggenda del cinema; continuò il trionfo in “Sangue e arena” (1922) di Fred Niblo. Dopo “Il giovane Rajah” (1922) di Phil Rosen, che non ebbe successo, partì per un viaggio in Europa e quindi riconquistò la gloria in altri film come “Monsieur Beaucaire” (1924) con Bebé Daniels, “Cobra”, “L'Aquila nera” (1925) con Wilma Banki e, infine “Il figlio dello sceicco”, sempre con la Banki e con la regia di George Fitzmaurice.

La prima di quest'ultimo film fu proiettata il 9 luglio 1926; il 23 agosto dello stesso anno Rodolfo Valentino morì a New York.

Nel 1895 con il Cinema nasceva Rodolfo Valentino, nel 1926, anno della sua morte, finiva l’era del Cinema muto.

L'Attore

Rodolfo Guglielmi arrivò a Hollywood nel 1917. Da allora fino al 1920 apparve in almeno diciassette film, interpretando parti minori. Il giovane Guglielmi, che prese lo pseudonimo di Rudolph Valentino, impersonò banditi e una varietà di tipici personaggi loschi, ma nessuno dei suoi primi film fu veramente importante. In “Alimony” (1918), Valentino riuscì a farsi notare; in seguito ebbe la parte del playboy Giulio in un'ambiziosa produzione di Rex Ingram, “I quattro cavalieri dell'Apocallise” (1921), dove Rudy rivela una grande versatilità e una capacità di cambiare espressioni veramente sorprendente: cominciò così il suo trionfo.

Valentino fu diretto da Rex Ingram, uno dei più grandi registi del cinema muto hollywoodiano, anche nel film “La commedia umana” (1921), tratto da "Eugenie Grandet" di Honoré de Balzac. Nel 1921 Valentino arrivò ad una rottura con la Società cinematografica Metro che lo considerava ormai un fatto di moda e passò alla Famous Players-Lasky Paramount, girando il film “Lo sceicco” (1921), che segna l’inizio della leggenda. “Lo sceicco” è un film che senza l’erotismo e l'arte scenica di Valentino sarebbe potuto passare del tutto inosservato, invece scatenò un entusiasmo sensazionale fra le donne e un’ondata di gelosia e di invidia tra gli uomini. Queste reazioni così sproporzionate furono molto utili per la casa di produzione che ne approfittò per lanciare Valentino in altri quattro film nel 1922, di cui solo “Sangue e arena” fu degno di lui.

L’ascesa di Valentino fu così breve e veloce che nei primi due anni di popolarità interpretò ben nove film. Ci fu comunque una pausa di due anni, quando lui e la moglie, Natacha Rambova, litigarono con la casa di produzione per il fatto che Valentino veniva impiegato spesso in film di poco valore sprecando in tal modo il proprio talento.

Valentino tornò sugli schermi nel 1924 in un film, “Monsieur Beaucaire”, di cui la Rambova aveva curato le scene e la regia. Il film non fu molto apprezzato, poiché risultò troppo raffinato per il gusto hollywoodiano ma Valentino ebbe modo di mostrare un umorismo delizioso e ironico. I suoi ultimi tre film furono girati dopo la rottura definitiva con la Paramount e di questi tre gli ultimi due furono il finale trionfante della sua carriera. Valentino si separò dalla Rambova, e poi nel 1925 con la casa cinematografica “United Artists”, di cui facevano parte anche Charlie Chaplin e David Griffith, interpretò “L'Aquila nera” con l'ottima regia di Clarence Brown; la sceneggiatura del film, straordinariamente spiritosa, era di Hans Kraly, scrittore di tanti film brillanti diretti da Ernst Lubitsch. Nel film “Il figlio dello sceicco” (1926) Valentino fu diretto di nuovo da un buon regista, George Fitzmaurice, ma quando il film arrivò su tutti gli schermi Valentino era già morto.

Al di là della leggenda, al di là degli svenimenti delle donne e dell’odio degli uomini che suscitò, Rodolfo Valentino era un ottimo attore del cinema muto, un esperto professionista, dotato di un'ampia gamma di possibilità interpretative e di una conoscenza del suo lavoro in costante approfondimento. Subito dopo la sua morte, nasceva il cinema sonoro. Probabilmente Valentino, che aveva una voce piacevole, parlava inglese, italiano, francese e spagnolo, aveva la tenacia e l’intelligenza del self-made man, come la Garbo avrebbe affrontato facilmente la tempesta del sonoro.

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La morte

Rodolfo Valentino morì il 23 agosto del 1926 alle ore 12,10 di peritonite al Polyclinic Hospital di New York, dopo otto giorni di sofferenza a causa di un’operazione di emergenza per ulcera gastrica e appendicite. All’annuncio della sua morte, due donne tentarono il suicidio davanti all’ospedale, a Londra una ragazza si avvelenò davanti alla foto con dedica di Rudy, e un fattorino dell’ascensore del Ritz di Parigi fu trovato morto su un letto coperto di immagini dell’attore.

Mentre il cadavere di Valentino era esposto solennemente alla Campbell Funeral Home, le strade di New York diventarono la scena di un delirio collettivo mai verificatosi prima: una folla di centomila persone faceva furiosamente a pugni per arrivare a dare l’ultimo sguardo al Grande Amante.

Quando le sue spoglie mortali furono trasferite per essere sepolte nella Corte degli Apostoli del Memorial Park Cemetery di Hollywood, Rudy Vallee, un cantante dell’epoca, sussurrava una canzone commemorativa da tutte le radio degli Stati Uniti: “C'è una nuova stella in cielo questa sera, Rudy Valentino”. Valentino l'attore, una leggenda vivente, era morto. Ed ecco che cominciarono a proliferare le leggende post-mortem. I pellegrini fecero della sua tomba una seconda Mecca; una tomba che è tuttora sempre adorna di omaggi floreali. In occasione dell'anniversario della sua morte compariva una processione di donne in lutto e la famosa “Dama in nero”. Nel De Longre Park fu innalzata in suo onore una statua (unica eretta ad Hollywood ad un divo del cinema) chiamata “Aspirazione”.

L'Amante

“Great lover”, grande amante sullo schermo, amante fedele, non proprio irresistibile, invece, nella vita privata, per alcuni addirittura omosessuale.

La verità è che in Valentino era ben sviluppato il desiderio mediterraneo di un andamento domestico ordinato e comodo. Con gran dispiacere dei cronisti mondani Valentino non frequentava molto le feste; non era un ubriacone, non era un effeminato, nonostante l'accusa di essere “un piumino da cipria rosa”. La sua vita fu priva di quegli scandali sensazionali di cui furono protagonisti, altri divi. Scoppiò solo uno scandalo: dopo un breve matrimonio, con l'attrice Jean Acker, si innamorò di Natacha Rambova, (pseudonimo di Winnifred Shaughnessy, figliastra di un magnate dell’industria dei cosmetici, ballerina e scenografa di raro talento) e la sposò nel maggio 1922, prima di aver concluso formalmente il divorzio con la sua ex moglie, perciò fu accusato infondatamente di bigamia.

La Rambova ebbe un’influenza notevole su Valentino: disprezzando il mondo finto di Hollywood e il cinema popolare americano, lo spinse a litigare con diversi studi cinematografici; lo obbligò a vivere nel modo stravagante che per lei sembrava appropriato ad una stella del cinema; incoraggiò il suo interesse per lo spiritismo, tanto che Valentino pubblicò un libro di poesie dettate dall’aldilà dal suo spirito guida, il pellerossa “Penna nera”.

La carriera di Rodolfo Valentino sugli schermi durò solo sei anni, eppure il fascino magnetico che esercitava sulle donne di tutto il mondo sopravvisse alla sua morte prematura; il culto di Valentino, inoltre, mise radici in un’epoca in cui le donne in generale, e le americane in particolare, erano tutt’altro che disposte a sottomettersi al dominio del maschio. L’insieme di tutti questi paradossi ci mette di fronte al mistero del come e del perché quest’uomo in un’epoca particolare sia diventato un divo noto in tutto il mondo e oggetto di appassionata ammirazione da parte di milioni di donne che mai avrebbero provato il suo abbraccio o i suoi baci. “Chi sei, mio signore? Non conosco il tuo nome.”, chiede la danzatrice allo sceicco che ha incontrato sotto la luna presso il tempio nell'ultimo film di Valentino. “lo sono colui che ti ama”, è la risposta. “Non ti basta?”.

Chi siamo
La Fondazione Rodolfo Valentino si impegna a valorizzare, promuovere e tutelare l’eredità del mitico attore del cinema nato a Castellaneta il 6 maggio 1895.
Fondazione Valentino
Via Vittorio Emanuele 117/119 Castellaneta TA – Italy
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